Probabilmente lo influenzò e incoraggiò l’esempio dei conti di Gorizia, che erano in rapporti di amicizia con lui e poi anche di parentela, perché la figlia sua Adelaide si era in matrimonio con il goriziano Mainardo. Ormai per lunga tradizione i conti di Gorizia erano soliti con la forza imporsi al patriarca di Aquileia, contestandogli il potere temporale anziché difenderlo come loro “avvocati”.
Mainardo |
Alberto di Tirolo, anzitutto, approfittò dell’ostilità dell’imperatore Federico II nei confronti del vescovo guelfo trentino di Aldrighetto da Castelbarco (1232 - 1247) per appropriarsi di alcuni dei feudi più cospicui in Vallagarina e nella valle di Non. In seguito solidarizzò con Ezzelino da Romano e con Sodegerio di Tito, nominato podestà imperiale di Trento (1239 - 1255) in luogo del vicedominus vescovile, da quando Federico II ebbe posto sotto sequestro il principato trentino, aggregandolo alla Marca trevigiana.
La strategia del conte Alberto III di Tirolo per precostituirsi un grande dominio a spese dei principati ecclesiastici alpini, seppe sfruttare con lungimirante spregiudicatezza le difficoltà finanziarie, la pusillanimità e l’incoerenza dei mediocri principi vescovi succeduti a Federico Wanga.
Il conte riuscì a tessere un’abilissima trama, servendosi di ogni espediente per inviluppare e subordinare e infine riunire in un suo unico principato laico i territori di Trento e di Bressanone, come pure di Coira e fors’anche di Salisburgo. Non ridimensionò le sue ambiziose aspirazioni di fronte all’ostacolo maggiore per poter trasmettere ai suoi diretti discendenti i feudi ecclesiastici usurpati, in quanto non aveva figli maschi e il diritto imperiale escludeva la successione femminile nell’ereditarietà dei feudi e l’investitura dell’avvocazia da parte dei principi vescovi. Egli impose con le minacce la politica dei fatti compiuti. Dapprima piegò ai suoi voleri il più debole dei principi vescovi limitrofi, quello di Coira, poi fu la volta del vescovo trentino Aldrighetto, che dovette riconoscere l’ereditarietà dell’avvocazia.
Ma il Capitolo, incoraggiato dal procedimento inquisitoriale avviato il 27 aprile 1246 dal papa Innocenzo IV a carico di Aldrighetto, che per salvaguardare i propri interessi da avversario era diventato fautore dello scomunicato Federico II, protestò energicamente. È da rilevare questa presa di posizione dei canonici, che non fu eccezionale, ma piuttosto consueta nei confronti dei principi vescovi quando mostravano di non saper difendere l’indipendenza del principato.
sigillo vescovo Egnone |
Il nuovo vescovo di Trento, Egnone (1250-1273) dei conti guelfi di
Appiano, era stato dal 1239 principe vescovo di Bressanone e aveva
subìto le sopraffazioni dello stesso conte Alberto, tanto che si era
dovuto rifugiare nel castello paterno. Infine, per non essergli succube,
si era dichiarato fedele all’Imperatore Federico II, e così anche nei
suoi confronti fu minacciata un’inquisizione pontificia "de vita et
moribus" ("sulla vita ed il comportamento")(4 giugno 1246).
Tuttavia, a differenza del vescovo Aldrighetto, si staccò per tempo dall’imperatore scomunicato e, in premio, oltre la conferma sulla cattedra di Bressanone ottenne dal 1247 l’amministrazione della diocesi trentina e nel 1250 il definitivo trasferimento in questa più importante sede.
Tuttavia, a differenza del vescovo Aldrighetto, si staccò per tempo dall’imperatore scomunicato e, in premio, oltre la conferma sulla cattedra di Bressanone ottenne dal 1247 l’amministrazione della diocesi trentina e nel 1250 il definitivo trasferimento in questa più importante sede.
La sovranità territoriale dei due principati vescovili era tanto
compromessa che Egnone, nuovo vescovo di Trento, per superare il
prepotente ostruzionismo e poter entrare a Trento, dovette recarsi nel
1252 a castel Tirolo e investire il conte Alberto III e le figlie,
insieme con gli eredi, non solo dei feudi trentini consueti ma anche di
quelli dell’allora estinta casa comitale di Appiano. Così Alberto di
Tirolo, che già nel 1248 aveva ottenuto l’ereditarietà dei feudi e
dell’avvocazia vescovile di Bressanone, poteva di fatto ritenersi
pressoché signore del territorio trentino-tirolese. È anzi significativo
che, appropriandosi di un titolo che spettava ai prìncipi immediati
dell’Impero, non si accontentasse più della denominazione "Dei gracia
comes de Tirol" (per grazia di Dio conte del Tirolo) (pure indebita, ma
almeno riferentesi a castel Tirolo), bensì potesse la sua eredità essere
senz’altro designata "dominium comitis Tirolis" ("signoria della contea
del Tirolo"), cioè appunto un nuovo stato sovrano esistente di fatto,
anche se non ancora di diritto. Il mutamento del titolo “conte di
Tirolo” (limitato al castello omonimo) in “conte del Tirolo” prefigurava
e manifestava ambiziosamente l’obiettivo che i successori di Alberto
III avrebbero continuato a perseguire.
Erede del conte Alberto III, e delle infeudazioni da lui accaparrate a
scapito dei principati ecclesiastici, riuscì a far riconoscere al genero
conte Mainardo III di Gorizia, il titolo di Mainardo I del Tirolo.
Costui, assediata Trento con l’appoggio di Ezzelino da Romano, costrinse
il vescovo Egnone a investirlo pure dell’avvocazia. Vana fu la protesta
del Capitolo dei canonici, il 2 maggio 1256, come poi la revoca
dell’investitura da parte dello stesso principe vescovo, il 23 ottobre
1258.
In seguito alla morte dell’usurpatore. Mainardo II, suo figlio, si mostrò ancor più risoluto. Dopo aver senz’alcuna difficoltà ottenuto dal vescovo Egnone (fiducioso di poter con il suo aiuto domare la rivolta dei vassalli) il rinnovo delle precedenti investiture, non ebbe scrupoli di approfittare del malumore dei cittadini di Trento per insediare in città un capitano a lui devoto, rimpiazzare i canonici ostili con ecclesiastici a lui ligi e impadronirsi di feudi pignoratizi o vacanti. La maggior parte dei territori appartenenti ai principati vescovili di Trento e di Bressanone fu da lui usurpata, cosicché il conte del Tirolo, dopo la morte di Egnone, non si curò nemmeno di farsi rinnovare l’investitura dai vescovi neoeletti.
Attese invece a riorganizzare radicalmente l’amministrazione, secondo il più progredito modello italiano, sostituendo i nobili e i ministeriali infeudati con ministeriali senza feudo, cioè semplici funzionari pubblici; favorì la borghesia cittadina e anche l’emancipazione dei contadini, trasformandoli in locatari perpetui. Non concesse però alle comunità rurali alcun diritto politico, di modo che non poterono costituire un’organizzazione di contadini liberi come nelle vicine comunità svizzere.
In seguito alla morte dell’usurpatore. Mainardo II, suo figlio, si mostrò ancor più risoluto. Dopo aver senz’alcuna difficoltà ottenuto dal vescovo Egnone (fiducioso di poter con il suo aiuto domare la rivolta dei vassalli) il rinnovo delle precedenti investiture, non ebbe scrupoli di approfittare del malumore dei cittadini di Trento per insediare in città un capitano a lui devoto, rimpiazzare i canonici ostili con ecclesiastici a lui ligi e impadronirsi di feudi pignoratizi o vacanti. La maggior parte dei territori appartenenti ai principati vescovili di Trento e di Bressanone fu da lui usurpata, cosicché il conte del Tirolo, dopo la morte di Egnone, non si curò nemmeno di farsi rinnovare l’investitura dai vescovi neoeletti.
Attese invece a riorganizzare radicalmente l’amministrazione, secondo il più progredito modello italiano, sostituendo i nobili e i ministeriali infeudati con ministeriali senza feudo, cioè semplici funzionari pubblici; favorì la borghesia cittadina e anche l’emancipazione dei contadini, trasformandoli in locatari perpetui. Non concesse però alle comunità rurali alcun diritto politico, di modo che non poterono costituire un’organizzazione di contadini liberi come nelle vicine comunità svizzere.
Mainardo
II iniziò la formazione di una moderna compagine statuale di tipo
assoluto, che si avvaleva di un efficiente apparato burocratico. La
sovranità territoriale dei principi vescovi si ridusse a poco più di un
contestato diritto formale-storico, anche perché molti loro sudditi,
esasperati dai soprusi perpetrati durante il lungo periodo di anarchia,
non disdegnavano il predominio dell’energico conte del Tirolo. Riuscì
perciò del tutto effimera l’espugnazione del Castello del Mal Consiglio
(che proprio allora, almeno dal 1277, fu denominato Buon Consiglio) da
parte dei fautori del nuovo vescovo trentino Enrico.
Mainardo II reagì aggredendo violentemente Bolzano, di cui fece demolire perfino le mura, poiché aveva fatto causa comune con i Wanga e con altri signori filovescovili. Dopo un infausto tentativo di porsi sotto la tutela del comune di Padova (1278), il vescovo Enrico nel 1284 dovette adattarsi a stipulare con il conte del Tirolo addirittura un contratto di cessione del principato per quattro anni. Gli veniva corrisposta una pensione di ottocento marche d’argento, forse per sopperire all’insolvibilità dei debiti contratti per mantenere il decoro principesco.
Contemporaneamente il vescovo di Bressanone, Bruno di Kirchberg (1250-1288), nipote di Mainardo I, si mostrava ancor più succube perché non solo cedette all’insaputa del Capitolo dei canonici a Mainardo II il dominio di Sarentino e Castelrotto, ma riconobbe quasi formalmente la separazione e la supremazia del potere temporale dell’usurpatore su quello, già di fatto ridotto alla giurisdizione ecclesiastica, del vescovo.
Le cosiddette “compattate”, che avrebbero dovuto essere vere convenzioni bilaterali, si rivelarono imposizioni pressoché unilaterali del conte del Tirolo.
(Storia dell'Autonomia Trentina, Consiglio Provincia Trento)
Mainardo II reagì aggredendo violentemente Bolzano, di cui fece demolire perfino le mura, poiché aveva fatto causa comune con i Wanga e con altri signori filovescovili. Dopo un infausto tentativo di porsi sotto la tutela del comune di Padova (1278), il vescovo Enrico nel 1284 dovette adattarsi a stipulare con il conte del Tirolo addirittura un contratto di cessione del principato per quattro anni. Gli veniva corrisposta una pensione di ottocento marche d’argento, forse per sopperire all’insolvibilità dei debiti contratti per mantenere il decoro principesco.
Contemporaneamente il vescovo di Bressanone, Bruno di Kirchberg (1250-1288), nipote di Mainardo I, si mostrava ancor più succube perché non solo cedette all’insaputa del Capitolo dei canonici a Mainardo II il dominio di Sarentino e Castelrotto, ma riconobbe quasi formalmente la separazione e la supremazia del potere temporale dell’usurpatore su quello, già di fatto ridotto alla giurisdizione ecclesiastica, del vescovo.
castello di Brunico, voluto da Bruno di Kirchberg |
Le cosiddette “compattate”, che avrebbero dovuto essere vere convenzioni bilaterali, si rivelarono imposizioni pressoché unilaterali del conte del Tirolo.
(Storia dell'Autonomia Trentina, Consiglio Provincia Trento)
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