venerdì 29 giugno 2012

Il "dolce stile" o gotico internazionale

Negli ultimi decenni del Trecento e agli inizi del Quattrocento, in tutta Europa si diffonde il cosiddetto "dolce stile" o gotico internazionale.
I volti delle figure hanno espressioni tenere e malinconiche, i corpi sono sinuosi, racchiusi in panneggi morbidi e con pieghe abbondanti.
Uno dei principali centri di diffusione di tale stile fu la corte di Praga, dove Carlo IV fece giungere artisti da tutto il continente dando loro importanti incarichi, primo fra tutti la costruzione della cattedrale.
Sul finire del secolo il cantiere della cattedrale subì un rallentamento e le commissioni si ridussero. Molti artisti lasciarono la città cercando lavoro altrove, contribuendo in questo modo alla diffusione del "dolce stile".
Probabilmente fu così che Hans von Judenburg giunse a Bolzano dove, il 26 dicembre 1421, firmò il contratto per la costruzione dell'altare maggiore della parrocchiale. L'imponente altare a portelle, ora smembrato e solo parzialmente conservato in varie chiese (soprattutto nella parrocchiale di Nova Ponente) e musei, influenzò profondamente l'arte locale.

mercoledì 27 giugno 2012

Alla scoperta dell'arte tra le chiese di Bolzano

Il termine "medioevo" nell'arte locale copre un arco cronologico molto lungo che parte dalle testimonianze carolingie dell'VIII secolo, comprende il periodo romanico fino al XIII secolo, il gotico in tutte le sue varianti dagli inizi del Trecento fino agli inzi del Cinquecento, compresi pertanto i primi influssi del rinascimento.
La grande stagione della pittura murale nella città di Bolzano inizia alla fine del Duecento con dipinti in stile gotico-lineare, opera di artisti nordici giunti probabilmente dalla zona del lago di Costanza (come alcuni dipinti della chiesa di Santa Maddalena). Prosegue quindi con l'avvento delle botteghe giottesche attive al Duomo, ai Francescani e, soprattutto ai Domenicani (cappella di San Giovanni).
Verso la metà del Trecento la presenza del padovano Guariento lascia un'impronta indelebile nel successivo sviluppo della pittura locale, soprattutto per la sensibilità nel rendere lo spazio, per l'ambientazione ricca di dettagli e per l'abilità narrativa.
Ne sono testimonianza i dipinti di San Giovanni in Villa e in San Vigilio al Virgolo, così come l'ampio ciclo che decora Santa Maddalena.
Negli ultimi decenni del secolo è documentata anche la presenza di artisti veronesi, mentre agli inizi del Quattrocento, dall'incontro tra arte italiana e arte tedesca, nasce uno stile autonomo e originale, la cosidetta Scuola di Bolzano.

Se posso darvi un consiglio quando visiate la città di Bolzano non dimenticate di visitare il Museo Civico!

martedì 26 giugno 2012

Palazzo Menz

 Legandosi alle più antiche vicende della città di Bolzano, palazzo Menz sorge in un isolato interessato dal processo di ampliamento urbano duecentesco in cui fu coinvolta anche la costruzione della nuova sede vescovile. L’edificio raggiunse le dimensioni attuali tra il 1666 ed il 1682, quando i Wettin-Rafenstein, acquistate le case che già dalla fine del Trecento erano presenti sul sito, vollero abbatterle per dar luogo ad una prestigiosa residenza di famiglia: fu allora che venne realizzato il grande salone a doppia altezza e venne definita, salvo parziali successive modifiche, l’aspetto della facciata con gli erker su via della Mostra.
Ceduto nel 1753 a Georg Paul Menz – appartenente ad una ricca famiglia di mercanti di tessuti – il palazzo fu rinnovato dal 1771, in occasione probabilmente delle nozze con Elisabeth Clara Amorth
 La struttura architettonica rimase sostanzialmente invariata, mentre ne fu mutata radicalmente la decorazione pittorica, per la quale fu convocato, al culmine della sua carriere artistica, Carl Henrici (*), autore dei dipinti del salone e dell’ideazione della attigua sala cinese: nel salone principale un trionfante tripudio di colori in grandiosi trompe l'œil che raccontano le scene di una festa in maschera in un giardino che illusionisticamente "sfonda" le pareti, al cospetto degli dei dell'Olimpo; l’attigua sala cinese prende il nome dalla decorazione che ne ricopre le pareti - con il soffitto interamente ornato da stucchi e sulle pareti, al di là di una balaustrata dipinta, paesaggi orientaleggianti che si estendono senza interruzione – e rappresenta l’omaggio di un grande mercante di tessuti alla terra della seta.
Nel 1784 Anton Merchior von Menz (1757-1801), organizza a palazzo Menz  la prima delle dodici stagioni di carnevale che proporranno in città la rappresentazione delle migliori opere italiane del tempo, con libretto tedesco.

(*) Carl Henrici, pittore molto amato dalla società bene di Bolzano, trae ispirazione da opere dei Tiepolo e di Watteau, utilizzando riproduzioni a stampa di cui possedeva una vasta collezione.





Franz Anton Pock

Franz Anton Pock, mercante bolzanino di stoffe che, grazie alla sua attività e la sua ricchezza,  ricevette anche un titolo nobiliare.
Nel 1758 acquistò alcuni edifici fatiscenti nell'attuale piazza della Mostra a Bolzano e li trasformò in un grande "palazzo-albergo": Palazzo Pock, quindi Kaiserkrone (dopo il soggiorno del futuro imperatore!). 
Il signor Pock ebbe l' intuizione di creare un albergo elegante e prestigioso nel centro di Bolzano. Nella struttura soggiornarono ospiti illustri di passaggio a Bolzano,  tra cui nel 1765 il futuro imperatore d'Austria Giuseppe II.
Un dipinto con la sua immagine si trova nel Museo Cittadino di Bolzano.

venerdì 22 giugno 2012

Kessler, Glantschnigg, Henrici, Knoller e Troger

Stephan Kessler, uno dei principali pittori tirolese del XVII secolo, ottiene la residenza a Bressanone nel 1644, dove è titolare di una bottega molto attiva e prolifica. Per creare le sue opere utilizza stampe che riproducono dipinti di artisti famosi - secondo una prassi molto diffusa già a partire dalla prima metà del '400. Predilige in particolare le opere di Rubens, uno dei più importanti pittori europei del seicento, contribuendo così a diffondere la conoscenza in ambito locale. I suoi tre figli: Gabriel, Raphael e Michael, furono anchessi pittori. A Gabriel Kessler si devono gli affreschi nella chiesa del Calvario sul Virgolo di Bolzano (1685).
Giuseppe Alberti opera soprattutto nel Trentino. Si forma artisticamente a Venezia e a Roma; tornato in Val di Fiemme apre una scuola di pittura a Cavalese dove avranno la loro prima formazione artisti molto importanti per la pittura barocca trentina e tirolese, quali Paul Troger, Johann Georg Dominilus Grasmair e Michelangelo Unterpergher
Verso la fine del 1600 Ulrich Glantschnigg, attivo tra il Sei e il Settecento,  porta a Bolzano alcune novità pittoriche apprese a Venezia, soprattutto nella pittura di genere.
Nel 1700 Carl Henrici, giunto verso la metà del secolo a Bolzano dalla Slesia, ottiene la residenza in città e la possibilità di esercitare l'attività artistica, avendo sposato la figlia di Mathias Twinger, titolare di una bottega di pittura. La pittura di Henrici è elegante e piacevole; lo stile rococò, di cui è un ottimo interprete, rispecchia pienamente  la società del tempo: svago, spensieratezza, lievità aiutano a non riflettere sul radicale cambiamento sociale in atto che culminerà nella Rivoluzione Francese del 1789. Carl Henrici dipinge temi sacri e profani, scene mitologiche e dis toria antica, ritratti, turcherie e cineserie. Molto probabilmente la necessità di dipingere le volte degli edifici, con il viso rivolto verso l'alto, e di sopportare la caduta negli occhi di minuscoli frammneti di intonaco, sono la probabile causa della sua cecità.
Molto diversa dall'Henrici è la figura di Martin Knoller: nato a Steinach inTirol, si forma inizialmente con Paul Troger - massimo esponente del tardo barocco sudtirolese - ma i successivi soggiorni in Italia e la scelta di vivere stabilmente a Milano lo fanno avvicinare al neoclassicismo, di cui diviene valido interprete.
Lo stile neoclassico, con il suo evidente richiamo all'antichità classica e pagana, non è però apprezzato nel Sudtirolo cattolico.  Nelle sue opere per Bolzano, Knoller utilizzerà pertanto un duplice registo stilistico: tardo barocco per la pittura religiosa (cchiesa abbaziale di Gries), neoclassico per la committenza privata (Palazzo Gerstburg a Bolzano).

La rivolta dei contadini e l'istituzione del Magistrato Mercantile

A partire dal 1524 in larghe zone della Germania meridionale hanno luogo violente rivolte dei contadini in cui rivendicazioni di carattere sociale ed economico si mescolano a questioni di tipo religioso, collegate con la riforma protestante. Nel 1525 la rivolta, capeggiata da Michael Gaismair, interessa tutto il Tirolo e il Trentino e l'anno successivo viene duramente repressa.
Ne segue un periodo di profonda crisi sociale ed economica che si riflette negativamente sull aproduzione artistica che, per tutto il '500, è molto ridotta. Per tale motivo il rinascimento non ha localmente una grande diffusione.
La ripresa incomincia verso la fine del XVI secolo, ma per la città di Bolzano è di fondamentale importanza l'istituzione nel 1635 del Magistrato Mercantile, voluto dall'arciduchessa del Tirolo Claudia de' Medici.
Il Magistrato rilancia il ruolo commerciale della città dando regole certe e facilitando gli scambi delle merci dutante le 4 fiere annuali. Ben presto l'economia cittadina si consolida e si espande; contestualmente riprende anche la produzione artistica, per la quale lo stesso Magistrato tiveste un importante ruolo di committente.
Sarà proprio il Magistrato, infatti, a incaricare Guercino nell'esecuzione della pala con il Miracolo di Soriano per la chiesa dei Domenicani.



giovedì 21 giugno 2012

La stufa a olle

In Alto Adige e nel Trentino è la zona di maggior diffusione  delle stufe di maiolica o "olle". Già nel Medioevo questa forma di artigianto era diffuso sul territorio; chi produceva vasellame, stoviglie per la tavola e per la cucina, creava le olle per le stufe - cosa ben documentata a partire dal Cinquecento, soprattutto nelle città di Bolzano, Merano e Bressanone.
A Bolzano è documentato già nel 1242 un vasaio Ulricus Vogelus e, ina ltro contesto, è ricordata un "casa con stufa". 
A Bressanone è ancora oggi attestato il toponimo "Kacherau" (da Ofen-Kachel = olla da stufa) mentre nel Castello Principesco di Merano si può ammirare la più antica stufa a olle e torretta, totalmente originale e risalente al 1466 circa.

mercoledì 20 giugno 2012

Costumi tradizionali tra identità e tradizione

Le feste religiose e i riti legati soprattutto al volgere delle stagioni, rappresentano un momento di aggregazione, di socializzazione e di proclamazione di valori collettivi.
L'abito esibito, durante queste manifestazioni, riflette quindi sia i cambiamenti storico-culturali ed economici di un determinato luogo nel tempo, sia le aspirazioni sociali dell'individuo che variano secondo il ceto, il censo e l'età.
Il momento di massima diffusione di quello che chiamiamo abito popolare o costume tradizionale si colloca tra il XVII e il XVIII secolo.
Alla sua definizione concorrono fattori diversi quali l'evoluzione della moda nobile e borghese o la migrazione stagionale di alcune categorie di persone verso altre regioni. Vengono così favorite, in città e in alcune vallate, la penetrazione e l'assunzione di modelli nuovi. In  questo modo vari fattori, anche casuali, vengono ad incidere sull'evoluzione dell'abito di festa e nel corso del tempo determinano una differenziazione geografica (nel Museo Civico di Bolzano si trova una bella raccolta di costumi tradizionali!)
Solitamente il costume femminile si compone di camicia bianca di tela di lino con maniche arricciate sul girospalla e volant di merletto ai polsi. La gonna con una fitta pieghettatura intorno alla vita e un grosso cordolo sottostante è cucita al corpetto. Il corpetto con ampio scollo a "V" è allacciato sul davanti con nastri o cordelle e trattiene la pettorina di forma triangolare o rettangolare in tessuto pregiato. La giacca corta e sagomata ha uno scollo quadrato sul quale risalta il fazzoletto da collo o colletto in lino con merletto. Il grembiule è arricciato alla cintura, le calze bianche di cotone o di lana sono lavorate a maglia rasata traforata, le scarpe basse in cuoio sono ravvivate di nastri o decorazioni con il rachide di pavone. Completa il costume il cappello a larga tesa in feltro o fodera pieghettata.
L'abito maschile si compone, come quello femminile, di cappello, giacca, camicia bianca, calze, scarpe e il cinturone ricamato con rachidi di penne. Sopra la camicia si porta il panciotto di lana o cotone o il gilet a chiusura anteriore in stoffa pregiata. I pantaloni corti al ginocchio di pelle scamosciata sono trattenuti in vita da larghe bretelle verdi.

(Museo Civico di Bolzano)


lunedì 18 giugno 2012

Yak sulla Sonnenpromenade di Sarentino

Dal comune di Sarentino si prosegue per la zona artigianale - maso Obermarchen (m. 1610 circa) - Rio Deserto/Öttenbacher - malga "Neue Öttenbacher Alm" (1942 m.) e su una bellissimo sentiero panoramico si raggiunge il Monte Catino fino al Rifugio Meraner Hütte, a  Merano 2000.

domenica 17 giugno 2012

Booking Alto Adige

“Bookingaltoadige.com”  è il nuovo portale per la prenotazione di 800 alberghi altostesini.
Funziona come gli altri portali di prenotazione: sul sito il cliente può selezionare la zona desiderata e inserire la data di arrivo e di partenza e il numero delle persone per ottenere immediatamente tutti gli alberghi disponibili ed è possibile prenotare direttamente dal portale.

martedì 12 giugno 2012

Museo delle Miniere a Ridanna

Apertura da martedì a domenica: dalle ore 9,30 alle 18,30. Lunedì chiuso, escluso il mese di agosto e i giorni festivi.
Il museo è aperto da aprile a inizio novembre e il mese di dicembre

Due valli altoatesine, la Val Ridanna e la Val Passiria, condividono da sempre le miniere di Monteneve. L'attività mineraria costituiva un mondo a sè stante, che si muoveva ad un ritmo proprio, forgiando nei periodi più fiorenti la vita stessa delle due valli. L'estrazione mineraria non ha lasciato tracce solo nel paesaggio, bensì anche tra le popolazioni locali, ancora legate a questa tradizione.

Nel Museo vengono presentati 800 anni di attività mineraria, le tecniche di estrazione e di trasporto impiegate dal Medioevo ed i macchinari originali, funzionanti tutt'oggi.

Consultare: www.ridanna-monteneve.it
Tel.: 0472 656364

Quando si fa a visitare il Museo delle Miniere a Ridanna si può ammirare la scultura dedicata alla memoria della "donna più alta di tutto il Tirolo", nata a Ridanna nel 1879: Maria Fassnauer. Era alta m. 2,27  e girò gran parte d'Europa come "attrazione" nelle fiere e nei mercati. Morì nel 1917.


Maria Fassnauer rappresentata con i suoi genitori

lunedì 11 giugno 2012

Tesori al Museo Civico di Bolzano

Museo Civico di Bolzano
La Società del Museo di Bolzano fu fondata nel 1882 con l' obiettivo di raccogliere collezioni d'arte e non disperdere le opere artistiche, soprattutto quelle ecclesiastiche.
Il reverendo don Karl Atz , primo sovrintendente ufficiale ai benei culturali in Tirolo, fu il personaggio chiave nei primi anni di attività.
Già dopo pochi anni, la Società del Museo  fu in grado di offrire al pubblico bolzanino una esposizione permanente nell'odierna "Casa Kolping".
Nel 1900 il Comune di Bolzano decise di costruire una sede per il Museo. Per contribuire al reperimento della parte mancante dei fondi necessari, il barone Georg Eyrl - presidente della Socità del Museo - insieme con il presidente della Camera di Commercio Paul Welponer e con il sindaco Julius Perathoner, organizzò una grande sottoscrizione cittadina.
Nel 1905 fu possibile aprire il Museo Civico nell'attuale struttura.
Nell'ala meridionale del Museo furono organizzate aule e laboratori della scuola statale di arti applicate.
Direttore del Museo fu ilpittore accademico Tony Grubhofer.

Maria lactans, prima metà del XVIII secolo

Maria lactans, prima metà del XIV secolo, provenienza ignota
Sant'Anna Metterza tra i SS. Giuseppe e Gioacchino, inizio XVI secolo
Con la fine della I guerra mondiale e soprattutto con l'ascesa del fascismo, iniziò una nuova fase per la storia del Museo.
Alla fine del 1932 la Società del Museo fu obbligata, per ordine del prefetto, a cedere la direzione dell'amministrazione cittadina, ottenendo in cambio solo il diritto di intervento nel curatorio. Fra il 1935 3 il 1937, sotto la guida del nuovo direttore Wart Arslan, notevole esponente culturale fatto venire appositamente da Milano, l'edificio venne completamente ristrutturato e le collezioni esposte secondo nuovi criteri; fu ideato un percorso museale che estrapolava le opere d'arte e gli oggetti dal loro contesto storico culturale, presentandoli piuttosto in funzione della loro valenza estetica e secondo criteri cronologici e secondo i dettami fascisti.
Vennero fatti giungere oggetti da altri musei dell'Italia settentrionale, totalmente estranei al contesto culturale locale, e si sostituì la statua di Cristo sull'asina di Hans Klocker  con la pietra miliare romana proveniente da Rablà/Parcines.

Nel 1938 il Museo Civico venne promosso a "Museo per l'Alto Adige".

Nell'ambito della tacita collaborazione  messa in atto da alcuni membri della Società del Museo che non avevano optato per l'espatrio nelle terre del Terzo Reich, da Josef Ringler, membro della Kulturkommission, e da Nicolò Rasmo, nominato direttore del Museo nel 1939, si fece in modo di rallentare al massimo i lavori di divisione delle opere e degli oggetti del Museo tra "appartenenti alla cultura italiana" (non esportabili) e "appartenenti alla cultura tedesca", esportabili e quindi destinati ad essere trasferiti nella Germania hitleriana.

Alla fine della II Guerra Mondiale l'amministrazione cittadin concentrò i propri sforzi finanziari alla ricostruzione del Museo.
Nel 1948 venne organizzata una grande esposizione sull'arte medievale dell'Alto Adige.
Nel 1952 si potè aprire il terzo piano con le collezioni di arte popolare.

Nicolò Rasmo non era solo a capo del museo Civico di Bolzano, ma anche funzionario e successivamente sovrintendente delle Belle Arti. La concentrazione di più incarichi nella persona del suo direttore per 40 anni giocò un ruolo cruciale per il Museo Civico che lo considerò come il "Museo per l'Alto Adige", anche perchè sul territorio non c'erano altri musei. Più volte riuscì a portare a termine importanti acquisti da tutto il territorio, come il reliquiario fiorentino proveniente da Castel Coira.


Nel periodo dei diffusi furti nelel chiese (dagli anni '50 agli anni '70) trasferì nel museo molte opere importanti.



 

Futurismo a Bolzano

"Danzaaerea" con Laura Feresin, coreografia di Flavia Bucciero su musiche di Luigi Russolo e Luigi Grandi
Laura Feresin
Cristina Pastorello (soprano) e Andrea Bambace (pianoforte)














In concomitanza con la mostra Uberto Bonetti, un futurista a Bolzano, l'8 giugno si è svolta a Bolzano "la lunga notte del Futurismo" organizzata dall'Ufficio Cultura e Ufficio Servizi Museali, Storico-Artistici dell'Assessorato alla Cultura e alla Convivenza del Comune di Bolzano, presso la Galleria Civica e il Chiostro dei Domenicani.

Il programma prevedeva:

 le conversazioni di:
Andreas Hapkemeyer "Die Befreiung del Worter"
Andrea Bambace "Busoni e il Futurismo: da un quadro all'amicizia (tra Busoni e Boccioni)
Hannes Obermair "Traum und Terror: die Stadte in ihrer Zeit"
Sergio Coletti "In cucina il Futurismo di ieri e di oggi"
Claudio Giorgetti "Futurismo, esoterismo e ufo"

concerto di:
Andrea Bambace al pianoforte 
Cristina Pastorello, soprano
con:
"Il volo transoceanico"e la "Marcia degli aviatori" di Carlo Lombardo e Virgilio Ranzato
"Avanti Urania" e "La scossa elettrica" di Giacomo Puccini
"Marcia Telefunken" e "La 509" di Riccardo Zandonai

danza con:
"Danzaerea", musiche di Luigi Russolo e Luigi Grandi
Coreografia di Flavia Bucciero
Ballerina: Laura Feresin

recitazione di:
Bruno Corra, Emilio Settimelli "Passatismo" con Laura Barocco e Stefano Piazzi
Ettore Petrolini "Fortunello racconto idiota" con Enrico Matrella
Arnaldo Corradini, Bruno Corra "Alterazioni di carattere" con Laura Barocco e Stefano Piazzi
Andrea Bambace




Laura Feresin, coreografia di Flavia Bucciero







Laura Barocco e Stefano Piazzi
Enrico Matrella



















venerdì 8 giugno 2012

Castel Flavon/ Haselburg

Gia da tempo immemorabile Castel Flavon è un'ambita meta di escursione per gli abitanti di Bolzano; prima di tutto per la vista meravigliosa e poi per l'atmosfera medievale che si sprigiona da questo antico  maniero.
Il lato accessibile dalla collina su cui sorge era fortificato da un fossato e da un muro di cinta con merli e feritoie. Del castello stesso sono rimaste in buono stato soltanto due ali.

La prima documentazione sul Castel Haselburg (in origine Haselberg) è del 1237.
I nobili von Haslach zu Haselberg erano ministeriali dei vescovi di Trento e contemporaneamente avvocati della chiesa di Bolzano.
Nel 1259 essi cedettero (o furono costretti) questo diritto avvocatizio a Mainardo II di Tirolo.  
Ben presto vendettero anche il castello ai nobili von Greifenstein.
Nei secoli successivi si ebbe un frequente cambio di proprietari, finchè nel 1480 il maniero giunse nelle mani della famiglia di Kaspar von Voels /Fiè e suoi successori, i quali curarono la ricostruzione e l'ammordenamento con gusto rinascimentale e con preziosi affreschi.
Il castello reca anche il nome di "Kuepach", che gli proviene dall'omonima di nobili e facoltosi cittadini di Bolzano, proprietari del manufatto fra il 1590 e il 1730 per poi passare al conte di Toggenburg.
L'arte rinascimentale, sotto l'influsso del Principe Vescovo Bernardo Clesio, si ripercosse in maniera incisiva in questo castello. Ne sono testimonianza i cicli di affreschi all'interno delel due sale dell'edificio.
 I dipinti al di sopra del rivestimento in legno nella stanza al primo piano  propongono dall'alto in basso un fregio rinascimentale  in cui sono collocati dei medagliani con rappresentati gli imperatori romani: Augusto - Tiberio - Claudio - Adriano - Traiano ecc.
Sopra la porta spicca lo stemma dei nobili von Voels con la data 1541 (inizio dei lavori di risanamento) i quali riportavano anche il nome dei Colonna, un' antica e nobile famiglia romana. Questa è la ragione della presenza di una colonna sullo scudo gentilizio.
Le singole figure sotto i medaglioni sono separate da cariatidi che sostengono la trabeazione.
Alcune scritte tuttora leggibili fanno riferimento alla storia ed alla mitologia romana.


L'attrazione principale è costituita dagli affreschi al secondo piano del tratto occidentale. I dipinti delel due sale vengono attribuiti a Bartlma Dill Riemenschneider, un artista di Wurzburg accasatosi a Bolzano.
Tutte le raffigurazioni risalgono alla prima metà del XVI secolo ed appartengono a quanto di meglio la pittura rinascimentale propone nell'area tedesca meridionale.
I motivi ornamentali sono costituiti da ghirlande e fastelli di campo e di giardino ma l'attenzione principale va rivolta alla rappresentazione dalle Metamorfosi di Ovidio come l'amore inappagato di Apollo per la ninfa Dafne.
Sulla parete occidentale si può ammirare la sfida tra Fedo - Apollo e Cupido in un ambiente paesaggistico ripreso nelle immediate vicinanze del castello (nello sfondo si vede la Residenza Weisshaus di Aslago, l'abitazione dal tetto di paglia del maso Tiefnoler con i fabbricati agricoli. 
Sulla sinistra, a metà strada verso Castel Flavon, si trova l'antica cappella di Santa Geltrude.
Con il crollo del tratto meridionale del castello sono scomparsi numerosi affreschi.

mercoledì 6 giugno 2012

La lunga notte del Futurismo a Bolzano

Fino al 24 giugno 2012 alla Galleria Civica di piazza Domenicani, è aperta la mostra Uberto Bonetti. Durante la "lunga notte del Futurismo", 8 giugno - dalle ore 18.00 alle 24 nella Galleria Civica e Chiostro dei Domenicani: Arte, danza, musica, teatro, visite guidate all'insegna del Futurismo.



Del vivere consueto di Roberta Dapunt


L'amo così, profumata di ultime erbe incolte,
respinte per indifferenza sulle chine contorte,
difficile comprendere il silenzioso novembre e i luoghi,
che ogni anno di più reclamano il fischio sommesso della falce
e una verde urgenza servita a niente.

Io ti parlo da semplice condizione,
senza narrazioni sacre di avvenimenti,
senza i racconti in dottrine di imprese e di gesta,
senza le origini di dei e di eroi.
Riservato campo il mio, in cerca solamente di zitte presenze
e del comune esistere, poichè il tempo
in questo luogo è morsa di accadimento sempre uguale.

Casa mia è il maso, dentro il quale fluiscono anni e coscienza,
cadenza che non chiede il permesso di denunciare
ad ogni sguardo, in ogni angolo il suo passato,
epifania presuntuosa di generazioni avvenute.
Misurata vita la nostra, durata giusta che ha da spartire i mesi
tra i pochi fieni raccolti al sole e il loro fruscio ruminato al buio.
Il resto, passante, è silenzioso rimanere quando il tuo è ritorno.

L'amo così, lungo il colmo di abeti in pastura di quiete,
quando si fanno orlo i freddi campi e le nutrite nubi
e si leva una conversazione muta tra la libertà e misericordia.
E' congiuntura, che accade una volta soltanto dentro l'anno,
chi torna da greppie riempite lo sa
e sa che il momento prima della neve ha un odore.

Ma soprattutto l'amo nella misura di chi sa scernere un'erba dall'altra
e condividere due silenzi di dovere, differenti
soltanto per un gesto traciato da un segno di croce.
Civiltà contadina  contata ormai in poche mani,
mentalità imprenscindibile, semente nostra  da salvare,
possidente di manualità che non conosce il giorno di riposo
e tiene il merito a fronte alta di abitare la montagna.

E dunque, espondo in questi versi, a te che passi un punto di vista,
che una stalla non è il volto della modestia,
bensì il tornaconto dei concimi versati.
E' traccia immutabile di rinnovamento,
il beneficio di un vivere consueto lasciato in abbandono dai tanti.
Ciò che conosciamo da sempre oa ci succede di riconoscere soltanto.




Roberta Dapunt, nata nel 1970 in Val Badia, dove vive. Ha pubblicato le raccolte di poesia OscuraMente (1993), la carezzata mela (1999). Ha realizzato assieme al Maestro Paolo Vergari una registrazione su CD (2001), intitolata del perdono - poesia e musica per pianoforte. Nel 2008 è uscita la raccolta di poesie la terra più del paradiso (Einaudi). Sue opere poetiche si trovano in varie riviste letterarie, tra le quali: "Arunda", "Tras", "Ladinia", "Entschluss", "Filadressa", "Sturzflüge" e i "Quaderni" del Fondo Moravia. Scrive in italiano e ladino.

Attenzione alle .... streghe!

La Val Badia è ricca di luoghi e leggende spaventose con streghe, orchi, salvarie (donne selvatiche) come:
a Plan de Corones c'è la pietra delle streghe - il passo delle Erbe, tra la Val Badia e la Velle Isarco, è stregato - sullo Sciliar sono ancora visibili quelle che vengono chiamate le "sedie delle streghe" - superato il passa del Famzarego per andare a Cortina si incontra il Sass de Stria (sasso della strega).
Le streghe della Val Badia, raramente erano descritte come belle donne, anzi, si diceva fossero vecchie e brutte, spiriti cattivi e pericolosi, dai quali stare alla larga. Abitavano il Col Alt, il Col Malàdat, il Gardenacia.
Il corrispettivo maschile erano gli orchi, uomini brutti, sporchi, violenti e dispettosi che abitavano dalle parti di Colfosco, nei Crap del Sela e del Bec del Mezdì.
Nessun viandante si azzardava di notte lungo i sentieri di montagna. Si sussurano ancora oggi storie di uomini e donne uccisi nella notte da streghe che si trasformavano in valanghe o in bestie feroci, bellissime salvarie velate he accendevano il desiderio degli uomini  e si facevano inseguire fino a che lo sventurati non precipitava da un burrone o in una forra.
Ancor oggi, come esorcismo con tro il malocchio e le fatture, sono appese sui balconi o dietro alle porte delle "streghe" in tessuto a cavalcioni sulla scopa.

martedì 5 giugno 2012

Il Parco Naturale del Monte Corno


Il Parco Naturale del Monte Corno si trova nella Bassa Atesina a metà strada tra Bolzano e Trento. Comprende una superficie di 6.866 ettari, distribuiti sui territori comunali di Trodena, Anterivo, Montagna, Egna, e Salorno.
La zona sottoposta a tutela si estende sulle dorsali porfiriche e dolomitiche, delimitate ad ovest dalla Val d’Adige, a nord dalla sella di San Lugano (Val di Fiemme), a sud-est dalla Val di Cembra e a Sud della Chiusa di Salorno.
Il parco naturale della Bassa Atesina ospita la più ricca comunità di specie vegetali e animali di tutti i parchi naturali altoatesini, poiché arrivando fino ai margini della valle dell’Adige è l’unico situato in parte nella zona climatica submediterranea. Una varietà di associazioni boschive ricopre l’ 80% di questo „parco dei boschi”che, a causa della sua bassa quota, vive in stretto rapporto con gli insediamenti rurali.
Nonostante la presenza secolare dell’uomo, qui si è conservato un ambiente in equilibrio e rispetto per la Natura. In questo territorio situato proprio ai margini di una zona fortemente popolata e intensamente coltivata (monoculture di mele) come la Val d’Adige, si trovano dei paesaggi ameni e solitari, rimasti immuni dallo sfruttamento del turismo di massa, che constituiscono un paradiso per riposanti passeggiate naturalistiche.
Geologia e paesaggio

La zona del Parco è costituita da due tipi di roccia: la parte occidentale da chiari calcari dolomitici, la parte centrale e orientale da porfido bruno rossastro che culmina nel Monte Corno (1817m).
Imponenti fuoriuscite laviche, circa 250 Milioni di anni fa, hanno formato il duro porfido quarzifero atesino che, in seguito all’azione disgregatrice degli agenti atmosferici, si trasforma in terreno acido e povero di humus.
Il paesaggio alle sedimentazioni marine è costituito da diversi strati multicolori e fossiliferi di composizione sabbioso-marnoso-calcarea che affiorano alla base del Cislon e nel Rio di Trodena (arenarie della Val Gardena, strati di bellerophon e di Werfen, calcari conchilliferi). I fianchi del Parco naturale rivolti verso la Val d’Adige sono costituiti invece dai massici di roccia dolomitica del Cislon (1251m), del Prato Re (1622 m), della Madrutta (1507m), nonché del Geier (1083m).
Questa duplice struttura si é formata in occasione del corrugamento delle Alpi, allorchè poderosi movimenti tellurici ad est della linea di frattura tettonica Fontanefredde-Trodena-Cauria-passo Saùc sollevarono di circa 2000 m la massa di porfido.
L’odierna morfologia di questo territorio deriva in parte anche dall’azione dei ghiacciai durante l’era glaciale che arrotondarono le cime degli altopiani e depositarono sui terreni pianeggianti materiale morenico argilloso.
Altrettanto ricca di contrasti la geologia é l’idrologia del Parco naturale. Mentre i terreni porfirici impermeabili presentano una ricca rete idrica superficiale con numerose zone umide, nelle zone dei calcari dolomitici, che tendono al carsismo, si trova un sistema idrico essenzialmente sotterraneo.
Le bio-associazioni

La distribuzione delle specie vegetali, ma anche di molte specie animali in natura é sottoposta a regole ecologiche precise: quota, clima, precipitazione, tipo di terreno, esposizione al sole e grado di umiditá sono tutti fattori che determinano un habitat. A questi elementi si aggiunge anche l’ influenza esercitata dall’ uomo.
Nel Parco troviamo un’ampia gamma di associazioni vegetali che va dal bosco ceduo submediterraneo a carattere termofilo al bosco subalpino di abete rosso.
La flora del Parco naturale presenta, come la sua struttura geomorfologica, due diversi aspetti.
Sui terreni calcarei troviamo in prevalenza vegetazioni che prediligono un clima caldo-semiarido: coste aride, boschi cedui, boschi di abete rosso e boschi misti. Le dorsali porfiriche invece, grazie alla loro più ricca rete idrica, sono ricoperti da rigoglioso boschi di aghifoglie con un alternarsi di prati umidi e di torbiere.
Il bosco costituisce una bioassociazione che si rigenera autonomamente ed é importante per il mantenimento della situazione idrologica e climatica, per la stabilitá del terreno nonché per la molteplicitá della flora e della fauna. Un bosco allo stato naturale é caratterizzato in genere da un alternarsi di piante giovani e vecchie, da un ricco sottobosco e dalla molteplice mescolanza delle specie arboree. La presenza di parti legnose deteriorate offre un insostituibile base per il ciclo nutritivo di molti funghi, batteri, alghe, muschi ed insetti.
Grazie alle diverse caratteristiche geomorfologiche e ad uno sfruttamento attento e sostenibile i boschi del Parco naturale conservano una particolare biodivesità.

Il bosco ceduo

Il bosco ceduo di roverella, carpi nella e frassino raggiunge in Alto Adige il limite più settentrionale della sua area di diffusione. Sulle soleggiate pendici del parco rivolte verso la Val d’Adige tale bosco si spinge fino a 1000 m di quota s.l.m. Per dieci mesi nel sottobosco é un susseguirsi ininterrotto di fioriture e fruttificazioni: le papilionacee, liliacee, le orchidacee e le labiate sono tra le specie più rappresentative.
Agli inizi della primavera si schiudono i fiori gialli del corniolo e della cespugliosa erba cornetta. Nel tardo autunno il fiammante fogliame dello scotano risalta sui pendii un pò brulli. Alternativamente fruttifica il ciliegio canino, il castagno, il fico selvatico, il pero corvino e l’erba vesicaria. Nei siti più caldi cresce il sempreverde pungitopo. Tra la vegetazione che prospera nel sottobosco è da menzionare il giacinto dal pennacchio, il latte di gallina, il sigillo di salomone, l’origano selvatico, la valeriana rossa e la vite nera, simile ad una liana.

Prati aridi

Sui terreni poco profondi ed esposti al sole, dove il bosco ceduo diventa più rado, troviamo sui prati aridi la limonella dal profumo intenso, l’anemone di primavera, dai fiori vellutati e violacei, le argentee ariste del lino delle fate, la scorzonera austriaca, l’eliantemo bianco; da citare inoltre il timo, la cicoria, la globularia, il garofanino silvestre, l’antérico liliagine e il giglio rosso, l’assenzio, l’achillea, le graminacee xerofile, le orchidee e l’aglio.
Il gioiello della fauna submeditteranea dal colore verde brillante è il ramarro. Nelle giornate calde nell’aria risuona il frinìo penetrante della cicala, mentre tra la vegetazione sta in agguato l’elegante mantide religiosa.
Sulla superficie delle pietre sta adagiata al sole la lunga biscia d’Esculapio mentre al disotto lo scorpione italico attende l’ avvento dell’oscurità, quando dai prati aridi si leva un coro di molteplici richiami. Eccezionale è la ricchezza di lepidotteri e coleotteri. Anche il buffo ghiro, nonchè diverse specie di uccelli, quali l’usignolo, l’upupa, la capinera, il codirosso e il fagiano amano la zona climatica calda.

Bosco di pino silvestre

In ubicazioni e situazioni ambientali estreme e spesso opposte come: aridità, terreni poveri sia calcarei che porfirici, torbiere, alta montagna, calura, dove altre specie arboree crescono a stento, il modesto pino silvestre trova la sua nicchia ecologica. Cresce infatti tanto sulle pendici aride di dolomia della Val d’Adige quanto sui poveri pendi porfirici di Anterivo. Sotto le sue chiome rade crescono accanto ad alcune piante submeditterane l’erica, la carice umile, l’uva ursina, la bozzolina, la felce aquilina. Sul porfido si trova anche il mirtillo rosso e quello nero. Sulle ripide fiancate rocciose nidifica la variopinta coturnice e pascola il camoscio mentre nelle corone degli alberi si ode il grido della ghiandaia e nell’aria si libera in voli acrobatici il rondone alpino.

Bosco di faggio – abete bianco

Sui terreni profondi e fertili sopra Pochi di Salorno, nella valle del Rio di Trodena sui pendii nord-occidentali del Prato del Re e del Cislon, crescono imponenti faggi e abeti bianchi che sono tra le specie di maggior importanza ecologica per la presenza apparati radicali profondi e la capacità di formare un ottimo humus. Mentre il sottobosco nel fitto della zona boschiva si limita a specie umifere come l’acetosella, la stellina odorosa, la mercorella, l’anemone , l’orecchia d’orso gialla, la dentaria e la gramigna del Parnaso, nelle radure fioriscono invece il maggiociondolo, il mezero o fior di stecco, il rododendro peloso, il martagone, le orchidee nonché i mughetti e i ciclamini. Tra le corone degli alberi saltano gli scoiattoli e con rumoroso sbattito di ali si alza in volo il francolino di monte.

Bosco di forra

Nelle conche e nelle gole scavate dai torrenti, dove l’aria é umida, il faggio scende anche molto in basso e si associa al tasso, al tiglio riccio, alla carpinella,e all’edera mentre nel sottobosco cresce un rigolio di altri cespugli. Vera rarità per l’Alto Adige è la presenza dell’agrifoglio sempreverde sul versante settentrionali del Geier.
Nelle forre di difficile accesso, ma vicine agli abitati si rifugiano la salamandra pezzata, la volpe, la martora, il tasso e il gufo.
Bosco di abete bianco-abete rosso

Il cupo bosco di abete bianco-abete rosso ricopre i fertili terreni della dorsale porfirico-morenica da Salorno verso Cauria, Casignano, Trodena fino a Fontane Fredde.
Un sottobosco resistente all’ombra, nonché il larice, il sorbo selvatico, la clematide alpina accompagnano questi maestosi boschi di aghifoglie che sono da ritenersi fra i più importanti dell’Alto Adige. I picchi martellano i tronchi, la nocciolaia cerca i semi delle pigne, le cincie danno  caccia agli insetti.
La presenza di un gran numero di caprioli si nota per le conseguenze negative sopratutto a danno delle giovani piantine di abete bianco. Il gallo cedrone necessita di questi indisturbati biotopi boschivi.

Torbiere Alte

Le torbiere del lago Bianco, del Lago nero, di Gampen e di Palù Longa possono essere considerate dei veri gioielli naturalistici. La primula farinosa, il trifoglio d’aqua, le canne, la carice, il pennacchio, il brugo e il mirtillo rosso segnano il trapasso agli acidi cuscinetti di sfagni su cui crescono il mirtillo blu, la mortella di palude nonchè la rara andromeda polifoglia. Le uniche piante ad alto fusto che sopravvivono in tali ambienti sono conformazioni deformate di betulla, di pino silvestre e di pino mugo.
Dato che ogni orma nella vulnerabile vegetazione palustre lascia delle ferite che impiegano anni a rimarginarsi, si deve evitare di addentrarsi in questi biotopi, in cui hanno trovato rifugio insetti acquatici, anfibi, bisce e fagiani di monte.

 Prati alberati con larici

I prati di larici situati sulle vaste dorsali porfiriche tra Trodena e Anterivo, nonchè sopra Cauria rappresentano sicuramente uno dei gioielli paesaggistici del parco. Qui fioriscono la soldanella, il croco primaverile, il botton d’oro, il mughetto, il giglio di monte, il brugo, il colchiccio autunnale, il mirtillo rosso e nero. Il visitatore può ammirare inoltre diverse specie di genziane, primule, anemoni, orchidee e campanule.
 I prati alberati a larici una volta venivano incentivati perchè accanto al legno veniva ricavato anche il fieno. Molti deplorano il degrado di questi paesaggi curati come dei parchi, ma gli autentici protezionisti della natura si rallegrano perchè in un mondo sfruttato all’ eccesso dall’uomo esistono ancora paesaggi in cui la natura può sviluppare liberamente e le aquile reali, gli astori e gli sparvieri possono volteggiare indisturbati a caccia di preda.