Agli inizi del VII secolo la Pusteria orientale era stata teatro di ripetuti scontri armati tra Baiuvari e Slavi; questi ultimi erano stati ricacciati verso la conca di Lienz; ma il pericolo persisteva, mentre la zona di San Candido pare sia rimasta pressoché deserta fino al tardo VIII secolo.
Il duca Tassilone III (748-788), nipote del re dei Franchi Pipino il Breve (quindi cugino di Carlo Magno), durante il viaggio di ritorno dalla visita a Desiderio, re dei Longobardi; con il quale aveva stretto alleanza fece tappa a Bolzano. In quell'occasione donò ad Attone - abate del convento benedettino di Scharnitz (fondata nel 763) - la località di San Candido ("locus India" poi Inticha, da cui Innichen) con tutto il territorio tra Monguelfo e Anras, nella Pusteria orientale. Fece la donazione con il preciso scopo di convertire gli Slavi. Altro scopo della donazione era la colonizzazione del territorio ancora disabitato e incolto; nei primi anni il monastero dovette perciò, per il rigido clima dell’alta Pusteria e per l’isolamento della zona, affrontare non poche difficoltà.
Costruito il monastero con annessa chiesa in onore di San Pietro e di San Candido (una reliquia di quest’ultimo santo fu inviata da papa Adriano I (772-795) si pose mano con sollecitudine, secondo la Regola benedettina “Ora et labora”, alla duplice opera di coltivazione ed evangelizzazione. L’abate Attone godè di alta considerazione, fu ambasciatore del re dei Franchi Carlo Magno presso il Papa e nel 783 fu chiamato a succedere al grande Arbeo sulla cattedra vescovile di S. Corbiniano a Frisinga. Il vescovo Attone (783-811), pur rimanendo a capo del monastero di San Candido e titolare di tutte le proprietà, lo incorporò nella chiesa episcopale di Frisinga con tutti i vasti possedimenti fondiari. Per la direzione del convento fu di volta in volta incaricato un decano e per il sostentamento furono assegnati dei beni. L’amministrazione dei restanti possedimenti fu affidata ai cosiddetti “avvocati” (Vögte).
Il monastero fu tolto dall’imperatore Carlo Magno (800-814) a Frisinga e assegnato a Salisburgo, ma nell’816 fu Ludovico il Pio, figlio e successore di Carlo Magno, a riconsegnarlo a Frisinga.
Durante l’episcopato del vescovo Ottone di Frisinga (1137-1158) e del beato vescovo Artmanno di Bressanone (1140-1164) il monastero di San Candido fu trasformato in collegiata (capitolo di canonici). Entrambi i vescovi, quali grandi riformatori della vita religiosa delle rispettive diocesi, erano consci della decadenza cui, similmente ad altri, anche il monastero di San Candido si trovava. Il vescovo di Frisinga come superiore del convento era troppo lontano per poter debitamente intervenire e gli interessi pastorali esigevano una trasformazione dalla vita contemplativa a quella attiva.
Prevosto, decano e canonici, non essendo tenuti alla vita monastica, riformarono completamente il complesso claustrale e probabilmente rinnovarono anche la chiesa, ricostruendola ampliata in stile pienamente romanico ed aggiungendovi, come voleva la moda del tempo, l’ampia cripta che, conservatasi sino a noi, rimane a testimonianza del rinnovamento di allora.
La collegiata di San Candido è la chiesa romanica che meglio conserva le sue forme originarie del XII e XIII secolo, sì da costituire il più insigne monumento romanico della provincia e anche di tutto il Tirolo storico.
Nessun commento:
Posta un commento