lunedì 14 ottobre 2013

Un esodo biblico di cui si è parlato pochissimo

Le "Opzioni" furono il tragico accordo tra Hitler e Mussolini per il trasferimento in Germania dei sudtirolesi che volevano restare tedeschi e si trovarono costretti ad optare tra il Reich e l'Italia.
L'accordo - che in nome dell'Asse sanciva il carattere definitivo e intangibile del confine del Brennero - era stato elaborato dal capo delle SS Heinrich Himmler sin dalla primavera di quell'anno, e giunse al suo asseto definitivo il 23 giugno 1939 a Berlino.

L'85% degli altoatesini optarono per la Germania, ma solo 75 mila lasciarono effettivamente la provincia di Bolzano. Di questi, un terzo tornò in Alto Adige dopo la guerra.
Le Opzioni lacerarono nel profondo la società sudtirolese. I Dableiber, infatti - cioè coloro che scelsero di non partire ma di restare in Alto Adige - vennero trattati come traditori, con conseguenze che si trascinarono per decenni anche nel Sudtirolo pacificato del Dopoguerra.

Scriveva Himmler il 30 maggio 1939: "La decisione del Fuhrer in merito ai confini tra Italia e Germania è legittima. In questo modo si è deciso irrevocabilmente che il Sudtirolo, quale territorio abitato da un popolo tedesco, è abbandonato e non ha più alcun interesse per noi. Non si è con ciò detto che la Germania abbandoni i circa 200 mila sudtirolesi che vogliono essere tedeschi. Ciò ne consegue che per la stretta amicizia fra la Germania e l'Italia, dovrà essere intrapresa una storica e forse unica grandiosa operazione. La Germania procurerà da qualche parte del suo territorio, per esempio all'Est, uno spazio per 200 mila persone da collocarsi in città e paesi. Questo territorio dovrà essere scelto possibilmente in una zona originariamente straniera e sarà liberato da tutti i suoi abitanti. In accordo con l'Italia, i 200 mila tedeschi del Sudtirolo venderanno i loro averi e beni e verranno trasferiti in questo nuovo territorio."

La soluzione che Himmler aveva in testa era chiara e aveva a che fare con i programmi nazisti di invasione della Polonia, per la quale fu messa in piedi la cosiddetta "Operazione Fausthof", che altro non era appunto che la ricolonizzazione dei territori strappati alla Polonia con il rimpatrio entro i confini del Reich delle minoranze tedesche sparse per l'Europa. Nel calderone di questa lucida follia, c'erano anche i sudtirolesi.

In base agli accordi stabiliti dalla Germania con Estonia e Lettonia vennero infatti trasferiti nel Reich circa 70 mila Volksdeutsche ed altri 17.567 vennero trasferiti dopo l'occupazione delle stesse repubbliche da parte dei sovietici, nel novembre del 1939, in ragione dell'accordo russo-tedesco del 10 gennaio 1941. Con lo stesso accordo si decise pure il trasferimento di 49.606 Volksdeutsche dalla Lituania.

Ma già nel novembre del 1939 la Germania aveva stipulato un primo accordo con l'URSS per il trasferimento ad ovest dei 108.012 tedeschi della Polonia caduti sotto l'influenza russa; mentre il 5 settembre del 1940 si trovò ancora un accordo con l'URSS per gli 87.144 tedeschi della Bessarabia, i 44.944 del Nord-Bucovina, i 64.868 della Volinia e i 6.844 del Narew.
Il 22 ottobre 1940 arrivò anche l'accordo con la Romania per i 53 mila tedeschi del Sud-Bucovina, i 10.119 della Moldavia e i 14.102 della Dobrugia

In totale quindi, tra il 1939 e il 1941, vennero trasferiti nel Reich 600.000 Volksdeutsche.

In Alto Adige furono 185.000 quanti si dichiararono disponibili a prendere la cittadinanza tedesca e a trasferirsi, ma solo 75.000 passarono effettivamente il Brennero.
A partire furono soprattutto gli operai, i braccianti e i nullatenenti per rispondere in qualche modo all'estrema necessità di manodopera del Reich.

Nessuno dei Volksdeutsche delle Repubbliche Baltiche o dei Paesi dell'Est ebbe la possibilità di optare, decidendo se partire o meno. Vennero tutti trasferiti in modo coatto. Unica eccezione furono proprio i sudtirolesi.

In quegli anni di stravolgimenti, poco dopo l'invasione dell'Unione Sovietica da parte di Hitler nel 1941, accadde anche che un milione di tedeschi del Volga fossero trasferiti da Stalin - che ne temeva il tradimento - nelle repubbliche dell'Asia Centrale, in particolare in Kazakistan e Kirghizistan.


(di Mauro Fattor, quotidiano Alto Adige del 25 giugno 2009)

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