sabato 26 maggio 2012

la "sega veneziana" a Santa Geltrude in Val d'Ultimo

dal Quotidiano Alto Adige del 21 giugno 2005 a firma di Davide Pasquali


A prima vista una segheria veneziana sembra un inutile retaggio del passato. La dimostrazione? Finora è stata sostanzialmente ignorata anche dagli stessi storici dell’economia e della tecnologia.

 Un fatto singolare, se solo si considera che la sega idraulica dominò per almeno sette secoli l’economia delle valli alpine e anticipò alcune soluzioni tecniche adottate poi, a fine Ottocento, dalle moderne turbine idrauliche per la produzione di energia elettrica.
Notevole modello di produzione ecosostenibile - perché in grado di funzionare utilizzando una fonte energetica (l’acqua) e una materia prima (il legno) totalmente rinnovabili, senza inquinare e producendo rifiuti totalmente smaltibili - la veneziana è uno strumento assai efficiente, nato come sofisticato sviluppo dei mulini ad acqua. Per muovere un mulino, era sufficiente trasformare il moto rotatorio orizzontale della ruota idraulica nel moto rotatorio verticale della mola. Allo scopo erano sufficienti due semplici ruote a camme. Molto più complicata era la sega, che doveva trasformare il moto circolare della ruota in due moti rettilinei e sincroni: l’alternativo verticale del telaio reggilama e l’orizzontale a intermittenza del carrello portatronchi.
Quando la lama scendeva (e tagliava il tronco), il carrello si arrestava, mentre quando la lama risaliva, il carrello doveva compiere uno scatto in avanti. In area italiana questo sistema venne sviluppato al termine del Medioevo, mentre i primi disegni tecnici risalgono all’epoca rinascimentale. Queste macchine funzionavano, ma avevano un difetto: mosse da ruote di notevoli dimensioni, sviluppavano di conseguenza velocità piuttosto basse.

 Siccome ad ogni giro dell’albero motore corrispondeva esattamente un ciclo di salita e discesa della lama, anche la segagione procedeva assai lentamente.

Nel corso del Cinquecento - presumibilmente nei territori della Repubblica di Venezia, un’area economicamente e tecnologicamente assai avanzata - qualcuno ebbe l’idea di trasferire questa macchina in quota, lungo i torrenti delle Alpi orientali caratterizzati da acque veloci e portate notevoli. Ciò permise di realizzare ruote più piccole - con diametro inferiore al metro - aumentando così efficienza e produttività. La veneziana ebbe successo e dal Cadore si diffuse in tutto il Nordest, raggiungendo in seguito anche Slovenia, Austria e Alpi occidentali.

Col tempo venne perfezionata - per esempio vennero via via sostituite diverse componenti in legno, inserendone di metalliche - ma il principio di azionamento rimase sostanzialmente invariato sino all’inizio del Novecento.
 In Trentino le prime macchine ad acqua comparvero nel Duecento, mentre in Alto Adige il primo opificio citato è quello di Tesimo, nel 1315. La veneziana cominciò a diffondersi verso la fine del XVI secolo e il periodo di massimo sviluppo si ebbe nel XIX, quando l’attività di segagione assunse notevoli dimensioni commerciali. Diffuse capillarmente sul territorio - in Trentino negli anni Trenta ne esistevano almeno 420 - altamente adattabili al territorio, semplici da utilizzare, economiche e in grado di produrre segati di grande qualità, rimasero in esercizio a lungo e vennero abbandonate progressivamente soltanto nel Dopoguerra. Nel Tirolo austriaco - a titolo di esempio - nel 1960 ne esistevano ancora 140, ridottesi a 6 nel 1970.
In Trentino, per scopi didattici, ne sono state rimesse in funzione almeno una mezza dozzina, in particolare su iniziativa dei Parchi naturali di Paneveggio - Pale di S. Martino e Adamello - Brenta, nonché del Parco nazionale dello Stelvio. In Alto Adige invece, se ne possono osservare ancora molte, per esempio risalendo le valli d’Ega e Tires. Diverse sono state riconvertite in legnaie o in rimesse per le auto, altre in residenze estive, un paio - a Nova Levante e a Ega - vengono ancora utilizzate saltuariamente dai proprietari, altre ancora versano in totale stato di abbandono. Per quanto riguarda l’Alto Adige - contrariamente a quanto avvenuto in Trentino, Austria o Germania - nessuno ha mai pensato di approfondire l’argomento, effettuando ricerche storiche, studi tecnici, censimenti o altro, tanto che al riguardo non è mai stato pubblicato nulla e non si conosce neppure il numero totale degli opifici esistenti. Certo, negli anni Ottanta un’antica veneziana fu esposta al Museo etnografico di Teodone di Brunico. E nel 1997 - dopo essere stata restaurata, rimessa in grado di funzionare e adibita a centro visite del Parco naturale dello Sciliar - è stata inaugurata la segheria Steger ai Bagni di Lavina Bianca, presso Tires.
S. Geltrude Val d'Ultimo
Nessuno però, sinora, aveva ideato un progetto coerente di valorizzazione, mostrando (e spiegando con chiarezza) l’intero ciclo della sega veneziana. Ora ci ha pensato il Parco nazionale dello Stelvio, ristrutturando la Lahnersäge, il quarto centro visite nella porzione altoatesina dell’area protetta. La segheria è aperta da qualche settimana e si trova a Santa Geltrude, in cima alla val d’Ultimo. Una scelta non casuale, visto che la valle è storicamente legata allo sfruttamento delle risorse forestali e idriche, tanto che oggi - oltre a notevoli abetaie e lariceti - troviamo sei bacini artificiali e cinque centrali idroelettriche. Fu proprio la realizzazione di questi impianti nel Dopoguerra - e la conseguente riduzione nella portata dei torrenti - a far inevitabilmente cessare le attività di fluitazione e segagione idraulica del legname.
S. Geltrude Val d'Ultimo
La Lahnersäge, realizzata nel 1873 e attiva per oltre un secolo, era di proprietà di una comunione d’interessi di 36 contadini di S.Geltrude. Ceduta al Comune di Ultimo e messa a disposizione del Parco, è stata ristrutturata con una spesa di circa 200.000 euro.
S. Geltrude Val d'Ultimo


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