martedì 24 aprile 2012

Boris Jochvedson o Georg Bories

Chi si reca nel cimitero ebraico di Merano vedrà, in una posizione centrale, una  pietra tombale dedicata a Boris Jochvedson, morto nel 1948 non ancora cinquantenne. La sua lapide riporta questa scritta: 

Qui riposa il nostro caro Boris il quale con la sua attività ha reso possibile a molti nostri fratelli di raggiungere Israele. Gli amici della Bricha
 
Boris Jochvedson (Georg Bories), pianista di talento d’origine russa, era arrivato in Italia già nel 1942 come accompagnatore di 40 ragazzi e ragazze ebrei dai sei ai diciotto anni. Arrivavano da Lubiana, nella parte della Slovenia annessa nel 1941 all'Italia. I giovani provenivano da Berlino, Francoforte, Graz, Lipsia, Amburgo e Vienna, da dove erano fuggiti per sottrarsi alla persecuzione nazista.
 Il 17 luglio 1942 giunsero a Nonantola, in provincia di Modena, e  furono alloggiati in un’imponente casa di campagna, Villa Emma (disegnata dall'architetto Vincenzo Maestri e costruito nel 1898 da Carlo Sacerdoti, un proprietario terriero Ebreo che la intitolò alla moglie), affittata da un’organizzazione ebraica italiana, la Delasem (Delegazione per l’assistenza agli emigranti). Qui i ragazzi si dedicarono a lavori agricoli, di falegnameria e cucito, si occuparono della casa e seguirono le lezioni scolastiche impartite dagli accompagnatori. L’intento era quello di prepararli alla vita di un kibbutz in Palestina.
Successivamente i ragazzi e le ragazze divennero 73, erano quasi tutti orfani: i loro genitori morirono nei campi di concentramento antisemiti di Sachsenhausen, Buchenwald e Dachau. Successiviamente, nell'aprile del 1943, si aggiunsero altri 30 ragazzi orfani e perseguitati, di nazionalità Croata.

Dopo l’8 settembre, quando le truppe germaniche avevano già raggiunto il paese, ragazzi ed accompagnatori vennero aiutati da gente del luogo che li nascose. Grazie all’intervento del medico condotto Giuseppe Moreali, che aveva avuto in cura i ragazzi e del giovane sacerdote don Arrigo Beccari, trovarono tutti una sistemazione: alcuni nel seminario adiacente all’abbazia del paese e dalle suore, altri presso famiglie di artigiani, contadini e commercianti del posto. Non si trattava però di un rifugio sicuro. Con l’aiuto della Delasem e dopo molte traversie, quasi tutti i ragazzi trovarono rifugio in Svizzera: fra il 6 ed il 17 ottobre 1943, divisi in gruppi, guadarono al buio il fiume nei pressi di Ponte Tresa e raggiunsero la salvezza.

le ragazze e i ragazzi a Villa Emma con i loro accompagnatori
Finita la guerra, i ragazzi di Villa Emma, divenuti adulti, diedero vita alla fondazione Villa Emma dedicata alla pace tra i popoli.  
Nel 2003, il Sindaco di Haifa, su iniziativa di una cittadina ex ragazza di Villa Emma, intitolò un parco pubblico ai “Cittadini di Nonantola".

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