La prima redazione del testo, risalente presumibilmente al VI secolo, fu scritta in lingua iranica pahlavica, quindi venne tradotto in siriano, arabo e greco. La successiva traduzione in latino e in lingue volgari lo rese famoso in tutta Europa.
La leggenda narra del principe indiano Iosafat al cui padre - pagano - viene predetto che si convertirà al cristianesimo. Iosafat viene quindi tenuto lontano dalle miserie del mondo, in mezzo al lusso ed ai piaceri, ma ciò non gli impedisce di prendere coscienza delle miserie della vita umana (conosce la malattia, la vecchiaia e la morte). Il giovane viene quindi convertito dal santo eremita Barlaam e, divenuto eremita egli stesso, converte al cristianesimo il padre ed i sudditi.
Come si può notare la storia ricalca le note vicende di Budda, trasformato in Budasaft e poi in Iosafat; dal nome dell'eremita Balahuar, sdoppiamento del Budda stesso, si arrivò al nome di Barlaam.
Questa racconto divenne talmente popolare da essere inclusa nella Legenda Aurea di Jacopo da Varagine e di essere soggetto di numerose opere scultoree, come quella nel Battistero di Parma di Benedetto Antelami:
- al centro della scultura c'è un albero su cui si è rifugiato un giovane per sfuggire ad un drago che compare ai piedi dell'albero. Il giovane è intento ad assaporare il miele preso da un'arnia e non si rende conto della presenza di due animali che stanno rosicchiando il tronco della pianta.
- ai lati quattro tondi contengono le raffigurazioni del Carro del Sole, del Sole, del Carro della Luna e della Luna
- il miele simboleggia i piaceri mondani, il drago la morte in agguato, il sole e la luna con i rispettivi carri sono un'allegoria del tempo che trascorre.
- la composizione è un monito rivolto a chi indulge nei piaceri illusori della vita ignorando i rischi ad essi connessi e che col passare del tempo verranno alla luce.
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