Nel corso dei secoli, il monastero di Müstair fu preso di mira a più riprese quale simbolo di potere religioso e politico. L'abbazia venne incendiata nel 1499 dalle truppe asburgiche, reduci dal tentativo di assoggettare la Bassa Engadina e la Val Monastero. La ricostruzione fu affidata alla badessa Angelina Planta, la cui creatività diede vita all'attuale struttura architettonica della chiesa e delle mura di cinta.
Nel XVI secolo, la badessa Barbara de Castelmur dovette invece fronteggiare la Riforma. Mettendo a disposizione la chiesa dell'abbazia come chiesa parrocchiale, contribuì a mantenere legati gli abitanti di Müstair alla fede cattolica. Tutti gli altri paesi della valle sono infatti protestanti.
L'edificio non fu mai abbattuto completamente, ma restaurato in diverse fasi e secondo gli stili dell'epoca. Le badesse amavano inoltre lasciare un segno tangibile della loro presenza e del potere delle loro famiglie attraverso affreschi e decorazioni. Fu così che le pitture parietali all'interno della chiesa, di epoca carolingia e romanica, furono riportate alla luce soltanto verso la metà degli anni novanta, con grande stupore dei ricercatori e delle stesse suore.
La scoperta degli affreschi e l'avvio di una campagna di restauro segnò un punto di svolta nella vita delle suore di Müstair. Mai prima di allora le porte del convento si erano aperte a degli estranei. Il silenzio e la quiete furono così interrotti dalla presenza di archeologi e restauratori e dal rumore dei loro scalpelli. Questa convivenza tra religione e scienza permise non soltanto di riportare alla luce le pitture parietali del convento, ma soprattutto di renderle accessibili al pubblico senza violare le regole della clausura benedettina.
Nel convento di Müstair convivono dunque due realtà parallele, l'apertura al mondo e al contempo la fuga da esso. La clausura per le suore benedettine è simbolo di libertà e non di prigionia. Una libertà che va tuttavia interpretata come uno stato di autonomia e non come l'assenza di limitazioni o costrizioni.
Tra le mura del monastero, le suore trascorrono le loro giornate all'insegna della preghiera e del lavoro. Coltivano frutta e verdura, ricamano, gestiscono la casa e vendono i loro prodotti alla comunità locale e ai turisti.
L'ospitalità benedettina concede inoltre di ricevere nella casa coloro che vogliono sfuggire allo stress quotidiano. Il monastero mette alcune camere a disposizione degli ospiti e organizza delle settimane di digiuno e meditazione. Un'opportunità che negli ultimi anni ha attirato un numero crescente di persone in cerca di nuove forme di spiritualità.
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