(articolo di Marco Rizza, quotidiano Alto Adige del 3 settembre 2010)
Emerge dagli scavi archeologici la vocazione dell’Alto Adige di ponte tra nord e sud, una caratteristica che oggi viene sbandierata (e spesso a sproposito) nei settori più diversi, ma che nella storia ha rappresentato l’essenza più profonda di questa terra. Dall’Età del Ferro al Medievo, da Vadena a Resia, in valle e in altura.
L’Alto Adige ha svolto un ruolo di passaggio e raccordo tra nord e sud - sia sul piano commerciale che per le influenze culturali - in tutte le epoche, anche molto in là nel tempo. È il caso ad esempio del più antico tra i grandi ritrovamenti recenti, quello di Vadena, nell’area di Laimburg. Notizie di un insediamento in quella zona della prima Età del Ferro (1000-500 a.C.), spiega Catrin Marzoli, direttrice reggente dell’Ufficio Beni archeologici, «risalgono già agli scavi del diciannovesimo secolo, quando si scoprì una necropoli con decine di tombe». Ma gli scavi recenti hanno rivelato molto di più: un insediamento enorme, testimonianza di qualcosa di simile ad una «zona artigianale» dell’epoca. Si sono trovate tantissime case, una accanto all’altra, ognuna con un perimetro di pietra che sosteneva un alzato in legno. E, soprattutto, ognuna con una fornace e scarti di produzione. Inoltre sono stati trovati quintali di reperti, importati tanto da nord che da sud. «Il che significa - dice Marzoli - che già in quell’epoca Vadena ebbe una grande fioritura dovuta ai commerci attraverso l’Adige, che era navigabile. E significa anche che la valle dell’Adige non era paludosa e inabitabile: già nella prima Età del Ferro c’era un insediamento di proporzioni enormi».
Un altro insediamento molto esteso è quello scoperto a Settequerce. È risalente alla seconda Età del Ferro, alla cosiddetta cultura «Fritzens-Sanzeno». Le caratteristiche che fanno dell’area un «unicum» sono due. La prima: si distingue con chiarezza una «città dei vivi» che comprendeva le case e una «città dei morti», ossia necropoli e luogo di culto, nettamente separate dal rio Steiner. La seconda: l’insediamento sembra essere sorto lungo una via di comunicazione da sud a nord, dalla zona di influenza celtico-etrusca e quella nordica della cultura di La Tenè. La via in questione era una strada adatta ad essere percorsa da animali da soma. Probabilmente l’insediamento nasce intorno alla residenza di un signorotto locale che permetteva la sosta ai commercianti in cambio di oggetti preziosi: sono stati trovati infatti tantissimi reperti di importazione etrusca, oltre che ceramiche greche.
Facciamo un salto di alcuni secoli in avanti - e di alcuni chilometri ad ovest - e ci troviamo in alta val Venosta. Qui tra il 2009 e il 2010 sono stati scoperti lungo la via Claudia Augusta (a Malles, Laces, val di Tubre...) siti di epoca romana «di cui - afferma Marzoli - finora non si sapeva nulla. Ovviamente sapevamo che la via Claudia Augusta collegava l’area italica e la Rezia attraverso passo Resia, e avevamo reperti come la “Venere di Malles”: ma questi sono i primi resti murari romani trovati in Alta Venosta». Inoltre anche in questo caso si trovano tracce di ampi scambi commerciali sia col nord (Gallia, Grigioni) che col sud.
La via Claudia Augusta non era l’unica strada per il nord. C’era anche, sia pure forse meno importante, la strada lungo la valle Isarco. Ed era fondamentale controllarla. Proprio per questo, con ogni probabilità, nell’Alto Medioevo (sesto-settimo secolo e oltre) sul Virgolo venne realizzato un «castrum» - una struttura difensiva - cui rimandano molti indizi. Così come si è scoperto un «castrum» medievale in quello che poi sarebbe diventato Castel Firmiano. Si tratta con ogni probabilità di realizzazioni pianificate a livello statale (longobardo? baiuvaro?), parallele a quelle di Castel Tirolo, per il controllo diretto del territorio.
Nessun commento:
Posta un commento